"La bambina che è fuggita dalla notte"
- redazionemillebatt
- 2 lug
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 3 lug
Ho deciso di scrivere questa storia oggi, perché da più di ventiquattro ore leggo e rileggo una notizia terribile, una ferita aperta nel cuore del mio Paese.
Una storia che non mi dà pace. Mi sento arrabbiata, delusa, impotente. Mi chiedo come si possa accettare tanta ingiustizia, tanto dolore, soprattutto quando a subirlo sono i più deboli, i più innocenti, i più fragili. Quelli che noi adulti dovremmo proteggere. Quelli per cui dovremmo essere luce, guida, vita.

La storia è vera. È la storia di una bambina di dodici anni che ieri è fuggita dalla sua casa. È scappata dalla finestra, silenziosamente, mentre il mondo fuori dormiva.
E ha bussato, tremante, alla porta della vicina.
Non aveva più paura di fuggire: aveva più paura di restare.
Per cinque lunghissimi anni, il padre – il suo stesso padre – ha abusato di lei. Cinque anni di silenzio, di confusione, di vergogna. Cinque anni in cui quella bambina ha dovuto fare da madre ai suoi sei fratelli e sorelle, nascondendo dentro di sé un dolore troppo grande anche solo da nominare.
Quando la vicina l’ha accolta e rassicurata, le ha chiesto perché fosse scappata.
E lì, quella bambina ha trovato il coraggio. Ha raccontato la verità. Quella verità che portava dentro come un peso, come un nodo che non riusciva più a sciogliere. Forse neanche lei, fino in fondo, aveva capito cosa le stava accadendo. Forse aveva imparato a sopravvivere, giorno dopo giorno, sperando che finisse.
La vicina ha subito chiamato la polizia. La bambina è stata portata in un luogo protetto, al sicuro, lontano da quella casa che non era mai stata una casa.
Il padre – se così si può ancora chiamare – è stato arrestato. Ma nessuna prigione potrà mai cancellare ciò che ha fatto.
Io non riesco a trovare pace. Non riesco a smettere di chiedermi perché. Perché Dio non protegge i bambini da simili orrori? Forse perché ci ha affidato a vicenda, perché siamo noi a doverci prendere cura gli uni degli altri.
Ma quando, chi dovrebbe amare, diventa il mostro? Allora qualcosa si spezza anche nell’idea stessa di umanità.
Non esiste perdono per chi distrugge l’infanzia. Non esiste pietà per chi approfitta della sua forza su un corpo fragile. I bambini non sono proprietà, non sono oggetti, non sono silenzio. Sono esseri umani. E sono sacri.
Per questo dobbiamo parlare. Dobbiamo urlare. Dobbiamo insegnare ai nostri figli che possono fidarsi, che possono raccontare. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare anche le verità più scomode, anche quando fanno tremare le fondamenta della nostra società. Anche quando il mostro vive dentro casa.
Spero di non leggere mai più una notizia simile. Ma so che, mentre scrivo, da qualche parte del mondo, c’è un’altra bambina. Un altro bambino.
Un’altra porta chiusa.
Un’altra finestra da cui scappare.
E allora scrivo.
E continuerò a scrivere. Perché il silenzio è complice.
MERCEDES BARDHI







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