I volti nascosti della città
- Luisa Pesarin

- 14 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 5 lug

Il trasferimento nella capitale è stato un sogno che si è scontrato con la realtà. Non c’era solo luce e brillantezza, ma anche ombre e solitudine, momenti che ti spingono a guardarti dentro. Ho trovato un appartamento condiviso con altre ragazze, studenti anche loro, ognuna con una storia diversa, ma tutte con lo stesso obiettivo: crescere, cambiare, affermarsi. Condividere il contesto, le spese, le risate non è mai facile. C’erano momenti in cui la convivenza si faceva stretta, dove ognuna cercava il suo spazio, ma poi si ritrovava a dover negoziare anche il silenzio.
Nel frattempo, ho iniziato a cercare un lavoretto da commessa nei negozi, per guadagnare qualcosa in più e far fronte alle spese. A volte mi sembrava che la città fosse un’enorme giostra in movimento, e io stavo cercando di prenderne una seggiola, di non perdermi, di non cadere nella frustrazione. Il master in architettura lo avrei iniziato in autunno, ma era già estate, e il mio sogno di diventare architetta mi sembrava tanto vicino e tanto lontano allo stesso tempo. Le giornate passavano veloci, e io mi perdevo nelle strade affollate della città, cercando di capire chi fossi davvero. Cercando di capire anche dove fosse il mio posto.
Ma c'era una parte di me che non voleva solo conoscere la bellezza, la grandezza e la modernità della capitale. Volevo anche scoprire i lati più oscuri, quelli che non si vedono nei cartelloni pubblicitari, nelle foto perfette che dipingono la città come una favola. Volevo vedere come si vive davvero nella quotidianità, tra le persone che lottano ogni giorno per trovare il loro angolo di pace. Volevo percorrere strade che non portano alla luce, guardare nei vicoli nascosti dove la vita non si racconta nei magazine, ma si vive comunque, purtroppo o fortunatamente.
Quella città che avevo amato da lontano, che avevo sognato quando ero bambina, adesso mi stava insegnando anche quanto fosse dura. Ma io non avevo paura di scoprire le sue verità. Anzi, sentivo che in quelle verità c’era qualcosa che mi avrebbe fatto crescere ancora di più. E non volevo fare un passo indietro, perché dentro di me sapevo che la strada giusta è quella che ci porta anche a scoprire le cicatrici, a vedere le ombre prima della luce.
Solo così avrei potuto imparare a vivere davvero.





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